Il progetto
Ne I persuasori occulti Vance Packard analizza le resistenze che trovarono, al loro esordio, i produttori di preparati alimentari istantanei. Le massaie americane, abituate a cucinare per le loro famiglie, si sentivano sminuite nel loro ruolo da queste torte che richiedevano l’aggiunta di un po’ di acqua e poco altro. Quando usavano questi preparati spesso non si attenevano alle indicazioni sulla scatola, ma aggiungevano una sorta di tocco personale. I produttori compresero che per aumentare le vendite “dovevano procurare che alla cuoca restasse sempre qualcosa da fare” (V. Packard, I persuasori occulti, tr. it.,. Einaudi, Torino 1989, p. 74).
Mi piacerebbe poter dire che i docenti, e segnatamente i docenti di filosofia, sono come le massaie americane degli anni Cinquanta, ma temo che non direi il vero. Se il libro di testo sta al docente come il preparato per torte istantanee sta alla massaia, bisogna osservare che il docente italiano non ha troppa voglia di variare e personalizzare la preparazione. Anno dopo anno i manuali acquistano sempre più volume – ormai un libro di testo non merita alcun rispetto se non ha almeno quattrocento pagine – e si impreziosiscono di tutto ciò che può servire all’insegnante: le lezioni, ovviamente, l’apparato iconografico, i brani antologici, i link agli approfondimenti su Internet, gli esercizi, perfino le programmazioni. Al docente non resta che spiegare il manuale. Quando entra in classe gli studenti sono già schierati nei loro banchi con il loro libro di testo. Il docente indica la pagina, e si comincia.
Non c’è nulla di più umiliante di questa routine. Il docente, che dovrebbe essere un intellettuale, un esperto della sua disciplina, un formatore in grado di gestire i materiali di apprendimento, trova tutto già pronto. Deve solo aprire il manuale. Avrà la cura di studiarselo, in modo da saper illustrare esattamente cosa dice a pagina 125. Se è aggiornato, riuscirà ad adoperare perfino i materiali on-line. E poco più.
La scuola dovrebbe funzionare diversamente. Gli studenti dovrebbero studiare, ossia desiderare il sapere, cercarlo, costruirlo con l’aiuto e la guida del docente: non trovarselo già organizzato, sistematizzato e pronto all’uso. Nel caso della filosofia, questa situazione è anche più umiliante, perché la filosofia è sapere critico, e questo è davvero un modo poco filosofico per insegnarla.
Symposium nasce dalla convinzione che il modo migliore di insegnare filosofia sia partire dai testi, che nei manuali sono normalmente concepiti come completamento e messi in fondo al capitolo. Dai testi invece, annotati e commentati non più di quanto è necessario per la loro comprensione e corredati dalle indispensabili informazioni di contesto verranno tratte le informazioni che consentiranno di ricostruire il pensiero di quell’autore o di quel movimento filosofico. Ma soprattutto nel confronto con i testi lo studente si eserciterà nell’interpretazione, nell’arte difficile ma preziosa di entrare in un mondo intellettuale anche molto distante dal proprio.
La filosofia è essenzialmente, anche se non esclusivamente, dialogo. Nella lettura dei testi c’è già una forma di dialogo, che è stata ed è centrale nella pratica filosofica: il dialogo con l’autore, il confronto ermeneutico, l’andare a fondo nel pensiero dell’altro chiarendo al tempo stesso il proprio. Ma la filosofia è anche dialogo attuale, il confronto tra persone che si pongono una medesima domanda e confrontano (e argomentano) i loro punti di vista. Dopo la lettura dei testi, e la sistematizzazione delle conoscenza ricavate da essi, Symposium propone la discussione, il confronto, la rielaborazione collettiva in una comunità di ricerca.
Symposium non è, non vuole essere un’opera, ma offrire gli strumenti affinché la classe, lavorando come una comunità di ricerca, diventi un’officina delle filosofie, ossia il luogo nel quale, partendo dai testi, si costruisce l’opera: l’interpretazione particolare di un autore, di un pensiero, di un problema filosofico. Ed è una officina delle filosofie, al plurale, perché il pensiero occidentale viene fatto interagire con quello orientale e non europeo in generale, con particolare attenzione all’India, alla Cina, al Giappone e alla civiltà islamica. La chiusura ai mondi culturali altri è uno dei limiti più dolorosi della scuola italiana, e anche più dolorosa è questa chiusura nel caso della filosofia. Ritenere che la filosofia sia cosa solo occidentale perché è in Grecia che è nata la parola filosofia è come negare che le religioni non occidentali siano religioni, dal momento che la parola e il concetto di religione sono occidentali. Una posizione che esprime pigrizia mentale, quando non arroganza. E certo si educano gli studenti all’arroganza, se si permette che escano dal percorso scolastico con la convinzione che solo l’Occidente abbia esercitato il pensiero.
La didattica della filosofia in Italia segue una impostazione storica che molti trovano inadeguata. Il rischio è che lo studente si veda sfilare sotto gli occhi una lunga teoria di filosofi, uno diverso dall’altro, ognuno con la sua verità, e che in questa lunga processione gli sfuggano le trame comuni, il filo rosso che unisce pensatori anche lontanissimi tra loro, le grandi domande che come una corrente elettrica attraversano l’umanità. Ma anche l’impostazione tematica ha i suoi limiti. Ci si appassiona senz’altro ad affrontare i grandi temi, ma le posizioni dei filosofi, tolte dal loro contesto storico (ed economico), rischiano di essere snaturate.
Symposium intende offrire materiali presentati secondo un percorso storico ma anche, con una diversa organizzazione dei medesimi materiali, nuclei tematici a carattere interculturale, che consentano di considerare un medesimo problema da punti di vista diversi, affini nonostante la distanza spaziale e a volte anche temporale, oppure opposti, e che è interessante considerare insieme proprio per questa diversità ed opposizione.